A quasi 200 anni dalla morte, il lavoro di Beethoven rimane una parte fondamentale della vita e dell’esperienza di ogni musicista. Senza volersi soffermare sul momento storico nel quale inserita la produzione del compositore di Bonn, la musica di Beethoven è, sul piano puramente personale, una musica che si potrebbe definire di riscatto, una reazione che ad una vita spesso gravata da pesanti fardelli, i quali Beethoven stato in grado di superare solo tramite la musica.
Un mondo, quello della musica, che da un certo periodo in poi gli è stato addirittura precluso a causa della sordità. Ma questo è stato un limite puramente fisico, perché nella sua testa la dea dei suoni non ha mai smesso di ispirargli armonie e temi che hanno catturato il cuore e la mente di milioni di persone in tutto il mondo.
Gli ideali di Beethoven
Beethoven è considerato uno dei primi compositori ad aver reciso il cordone ombelicale che legava, prima di lui, i compositori ai signori di turno; certamente non è stato il primo – celebre è il famoso calcio nel didietro che Mozart ricevette dal principe-vescovo di Salisburgo – ma Beethoven è stato probabilmente il primo ad aver avuto un rapporto di indipendenza dalla corte di Vienna fin dai suoi primi incarichi.
Certo ebbe stipendi ben consistenti dai regnanti di Vienna, ma ognuno di questi sapeva benissimo che non avrebbero mai potuto utilizzare con lui lo stesso atteggiamento che avevano con altri stipendiati della corte.
Questo portamento di Beethoven non è certo dovuto unicamente al suo particolare carattere, ma anche a quello dell’ambiente culturale che si era imposto in Europa a seguito della rivoluzione francese, i cui echi erano giunti fino in Germania e ben oltre.
Beethoven aveva accolto con giubilo gli ideali di libertà e di uguaglianza che quella rivoluzione aveva partorito, tant’è vero che deciderà di usare il testo di Schiller per la sua monumentale nona sinfonia, che di questi ideali è stata allo stesso tempo inno e omaggio.
Non è quindi un caso che Beethoven abbia deciso di comporre le musiche di scena per l’Egmont di Goethe.
Lamoral di Egmont
Lamoral di Egmont è vissuto tra il 1522 e il 1568. Apparteneva alla nobiltà fiamminga, e nonostante la sua fedeltà ed inevitabile sudditanza alla corona spagnola dal momento che la regione delle Fiandre era colonia spagnola, ha potuto godere di un certo grado di indipendenza e autonomia.
Queste condizioni sono giustificate dal fatto che Egmont ha combattuto per la corona spagnola contro i francesi, sconfiggendoli, nella battaglia di San Quintino nel 1557.
Fintantoché la corona spagnola rimane sotto l’amministrazione di Carlo V, la provincia delle Fiandre visse un periodo di relativa tranquillità. Infatti il sovrano, pur essendo un personaggio ingombrante, aveva un certo fiuto per la politica e l’amministrazione, rendendosi quinti conto che la principale attività dei fiamminghi, la mercanzia, doveva essere affidata ai nobili locali, la cui esperienza, unita alla relativa autonomia concessa da Carlo V, garantivano il proseguimento di una fiorente attività.
Il “macellaio delle Fiandre”
La situazione muta però drasticamente con il successore di Carlo V, Filippo II. Il nuovo monarca non ha la stessa stoffa del suo predecessore per l’amministrazione, e, al contrario di Carlo, stabilisce che i possedimenti spagnoli, tra i quali figurano le Fiandre, siano amministrati da delegati da lui stesso designati.
A questo proposito decide di inviare nelle Fiandre il duca d’Alba, Fernando Álvarez de Toledo, il quale sarà soprannominato dai fiamminghi “macellaio delle Fiandre” a causa della brutalità con la quale reprime il tentativo di ribellione della popolazione di quel luogo.
Difatti, a seguito della grave crisi finanziaria che colpisce la Spagna in quegli anni, Filippo II esige una maggiore tassazione delle sue province, decisione che getta le Fiandre in una gravissima crisi economica e sociale; inoltre la popolazione è stanca dell’atteggiamento del clero locale, colpevole di numerosi casi di corruzione rimasti impuniti.
E forse è questo il fattore più grave agli occhi del cattolicissimo Filippo II: con le proteste contro la chiesa, la ribellione delle Fiandre ha un forte odore di eresia, perciò Filippo esige una condotta brutale della fine della ribellione. Ed è proprio con l’arrivo del duca che il poeta tedesco Wolfgang Goethe decide di iniziare l’opera teatrale ispirata alla figura di Egmont.
L’arresto di Egmont
Egmont, sebbene avvertito dal duca d’Orleans dell’arrivo del duca d’Alba, decide di rimanere presso il suo popolo e affrontare, combattendo, gli inviati spagnoli. Egmont è perfettamente consapevole che nulla riuscirà a mutare il corso degli eventi, e sa benissimo che la sua fine è solo una questione di tempo, e sarà una fine particolarmente cruenta.
Infatti, il protagonista (com’è effettivamente accaduto nella realtà) è tratto in arresto e lasciato per più di un anno in carcere, dove è sottoposto a torture. Al termine della detenzione è trascinato sulla piazza principale di Bruxelles e decapitato il 5 giugno del 1568, avvenimento che getta la popolazione belga nella disperazione, ma che costituirà anche la scintilla per la successiva affermazione del popolo belga.
Prima di analizzare brevemente il significato dell’opera di Beethoven, vediamo come il compositore sia giunto a dedicarsi all’orchestrazione dell’opera di Goethe.
L’incontro con Goethe
Nel 1809 Beethoven riceve l’incarico di comporre le musiche per l’Egmont di Goethe dal direttore del teatro viennese Hoftheater, von Luchsenstein, poiché l’Egmont non era mai stato rappresentato a Vienna, e il direttore pensò fosse una buona occasione per portarlo in scena musicato dal più grande compositore del tempo.
I due uomini, Goethe e Beethoven, non si conoscono ancora, ma dal momento in cui il compositore accetta l’incarico, tra i due comincia una fitta corrispondenza, che culmina con l’incontro organizzato da Bettina Brentano nel 1810.
Beethoven è un grande ammiratore del poeta tedesco, e testimonianza ne è che fin da giovane Ludwig mette in musica alcune liriche di Goethe.
La grande ammirazione di Beethoven
In una lettera a lui indirizzata datata 12 aprile 1811, Beethoven evidenzia quanto il giudizio del poeta sia per lui fondamentale:
Nella stessa lettera, Beethoven evidenzia ancora di più la stima per Goethe, aggiungendo che l’orchestrazione dell’Egmont sia stata eseguita “puramente per amore del poeta”.
La rappresentazione avviene a Vienna il 15 giugno del 1810 ed è accolta con entusiasmo di critica e di pubblico, tant’è vero che E.T.A. Hoffmann scrive sull'”Allgemeine Zeitung” per la critica “… due grandi maestri riuniti in un lavoro magnifico”.
La figura di Egmont
Va precisato che nell’opera teatrale di Goethe, il poeta, nonostante le approfondite ricerche sulla storia di Egmont e del periodo storico, tralascia molti importanti dettagli storici, alcuni dei quali sono addirittura romanzati o presentati in una luce del tutto enfatizzata.
Ciò non è certo dovuto ad una mancanza di materiale o di conoscenze del poeta tedesco, quanto invece alla necessità da parte di Goethe di risaltare la figura del protagonista e delle sue gesta, piuttosto che rendere edotto il pubblico del contesto storico.
La trappola
Nell’opera l’azione si svolge a Bruxelles al tempo dell’inquisizione. Il monarca spagnolo Filippo II non è affatto soddisfatto di come la sorellastra, Margherita di Parma, amministra la provincia fiamminga. Per questo motivo vi invia uno dei suoi maggiori uomini di fiducia, il duca d’Alba, affinché aiuti la reggente a soffocare le sommesse con pugno duro.
Non appena giunto sul luogo, il duca manda a chiamare quelli che ritiene due dei promotori della ribellione: Guglielmo d’Orange ed Egmont. Temendo però che si tratti di una trappola, Guglielmo si ritira prudentemente nella sua provincia, e tenta di convincere anche Egmont a seguirlo, ma quest’ultimo declina l’offerta e decide di presentarsi all’inviato spagnolo ben intuendo a quale sorte stia andando incontro.
Condanna a morte
Il duca d’Alba, dopo due ore di accalorato battibecco con Egmont, ne ordina l’arresto e l’immediata condanna a morte per alto tradimento. In questo contesto si inserisce anche un dramma sentimentale nell’opera.
Dopo la condanna a morte compare infatti una figura femminile, Chiarina, la quale è perdutamente innamorata di Egmont nonostante la ferma opposizione della madre che vorrebbe andasse in sposa al duca di Brakenburg.
Quest’ultimo, appena viene a sapere che Chiarina non lo accetta come consorte, si procura una fiala di veleno per darsi alla morte, ma la ragazza gliela sottrae per darsi essa stessa alla morte quando viene a sapere dell’esecuzione di Egmont.
Chiarina si uccide il giorno prima dell’esecuzione di Egmont, il quale, la notte prima di morire, sogna Chiarina che lo cinge il capo con una corona d’alloro.
In quel momento Egmont è svegliato dai rulli di tamburo delle guardie che lo vengono a prelevare, ed il condannato, rinfrancato dal sogno appena fatto, segue a testa alta i carcerieri, convinto che la sua esecuzione inciterà il popolo fiammingo a liberarsi dai tiranni.
Overture dell’Egmont di Beethoven – breve analisi
Overture. Sostenuto ma non troppo – Allegro
Conclusa nel giugno del 1810, l’overture dell’Egmont completa la trilogia dei ritratti eroici del sinfonismo beethoveniano. Come quelle per la seconda e terza versione del Fidelio (Leonora n.2 e n.3), anche nell’overture dell’Egmont c’è un collegamento, sebbene solo attraverso la coda finale, al resto della musica di scena, di cui è al tempo stesso introduzione e sintesi.
Con l’overture del Coriolano condivide invece la concentrazione del linguaggio e l’evidenza espressiva dei temi, che sono posti in categorico conflitto tra loro, e, caratteristica peculiare dell’Egmont, risultano saldamente intrecciati e amalgamati al contesto.
E se da una parte certi dettagli descrittivi possono avvicinare questa composizione al poema sinfonico, dall’altra la personalità dei soggetti è più di natura idealizzata che drammatica. Sono in gioco forze e sentimenti contrapposti, ma il linguaggio complessivo è posto su un piano universale che trascende l’argomento, nel senso che per Beethoven , l’esigenza di determinare il messaggio che vuole dare il dramma è più importante del racconto della trama.
Preludio e primo tema
Alla quinta battuta del preludio “sostenuto”, dopo la presentazione delle note ribattute in chiave scura degli archi, che crea un contesto quasi opprimente, si innesta un messaggio dal sapore implorante esposta dagli oboi, cui si uniscono fagotti e clarinetti.
In questo modo, riprendendo una tecnica introdotta da Haydn (sinfonia n.90) e Cherubini (overture di Demoofonte), Beethoven anticipa nell’introduzione lenta quello che sarà il tema dell’allegro finale: una melodia lunga costituita dalla scansione discendente dell’accordo nell’ambito di due ottave.
L’inciso ritmico presente in questo tema è costituito da tre brevi e una lunga, e i risvolti e i punti di arrivo di questo tema suscitano l’immagine di un campo di battaglia, simboleggiando chiaramente la lotta per la libertà.
Secondo tema
A differenza del normale procedimento della forma sonata, il secondo soggetto interviene in fortissimo, a voler simboleggiare le forze che si oppongono ai disegni dell’eroe. A questo intervento forte segue, anche in questo caso, una melodia lenta e in piano, che potrebbe simboleggiare la disperazione di Chiarina, o la miseria nella quale è gettata la Fiandra.
Successivamente Beethoven innesta accenti possenti dei fiati, che rappresento il culmine della seconda battaglia, e che si smorzano in una serie di sforzando.
Sviluppo e ripresa
A questo punto c’é un beve sviluppo della parte melodica del secondo tema, nel quale è poi ripreso il ritmo incontrato all’inizio (tre brevi e una lunga) ottenendo così l’effetto di trascinare come un vento la musica della ripresa.
Nella ripresa riappare il secondo soggetto, cui si alterna un lamento dei violini che termina con un improvviso salto di quarta discendente: Beethoven ha qui voluto rappresentare la veloce caduta della scure che decapita Egmont.
Coda finale
Ed è a questo punto, dopo una corona su una pausa (la quale può simboleggiare un momento di silenzio di encomio), che è introdotto un improvviso Allegro in Fa maggiore, nel quale Beethoven fa largo uso di trombe ed ottavino, per esaltare, in un contesto musicale dal carattere militaresco, la gloria per l’eroe caduto per la libertà.
Gli accenti di questo Allegro sono trionfali e sofferti, come quelli del finale della quinta sinfonia, o come quelli che affioreranno nel primo e nel secondo movimento della nona sinfonia.