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Vado in scena… a prendere una boccata d’ansia!

Ansia da performance, quali i fattori e come gestirla

A quale artista, che sia un attore, un musicista, un ballerino, non è mai capitato di vivere il momento più importante del proprio lavoro, ossia quello in cui ci si mette a nudo dinanzi al pubblico, in uno stato di assoluta preoccupazione, ansia, tensione e con il profondo desiderio di fuggire e trovarsi altrove in quel momento? Sinceramente credo che almeno una volta nella vita sia successo un po’ a tutti.

Apparenza VS Realtà

Eppure, nell’immaginario collettivo l’artista è l’egocentrico perfetto, colui che ama stare sul palcoscenico e farsi acclamare dal pubblico, vivere di notorietà e trovare ogni buona occasione per mettere in mostra le proprie doti, ma basterebbe fare un giro dietro le quinte prima di ogni debutto per capire che la verità è tutt’altra.

Sono molti, infatti, i grandi talenti nazionali ed internazionali a soffrire della cosiddetta ansia da performance, in grado, sia di mobilitare le risorse psicofisiche per preparare l’organismo a sostenere al meglio la performance, sia di scatenare una forma ansiosa più grave, con veri e propri attacchi di panico (Hansell & Damour, 2007). In questo caso può conseguire la sospensione di ogni attività artistica, con grande sofferenza interiore, senso di alienazione e sconfitta per l’artista.

Ma per quale motivo ciò accade?

Secondo alcuni studi (condotti nello specifico sul profilo del musicista) vi sono delle variabili legate all’ansia da performance. Alcune di queste sono: il genere musicale, presenza dell’audience e personalità

Il genere musicale

Secondo uno studio condotto da Nussek e collaboratori nel 2015, misurando i livelli dell’ansia in musicisti classici e pop di differenti età a confronto, i livelli di ansia da prestazione musicale sono risultati più alti per musicisti classici tra i 7 e i 16 anni, rispetto a musicisti più anziani.

Per i musicisti pop, gli effetti sono risultati invertiti, supportando così l’ipotesi di un differente impatto cognitivo e somatico del genere musicale.

Presenza dell’audience

Quanto può influire la presenza del pubblico sulla performance del musicista in termini di ansia?

Uno studio di Shoda e collaboratori (2015) ha indagato se gli artisti riescano a offrire risultati performativi migliori in presenza del pubblico, se sperimentino cioè un effetto facilitante in termini di esposizione sociale.

Analizzando i parametri interpretativi della durata ed espressione dinamica nella registrazione di un brano pianistico, rispettivamente con e senza audience, la presenza del pubblico risulta alzare il livello qualitativo ed emotivo dell’esecuzione.

Nello stesso tempo, però, l’audience induce i pianisti a ridurre il livello di individualità nelle scelte interpretative per evitare i rischi, preferendo variazioni espressive più contenute.

Questo studio risulta essere in linea con la teoria pulsionale di Zajonc (1965), secondo la quale la presenza fisica di membri della propria specie provoca un incremento psicofisiologico che stimola l’attivazione di modelli abituali di comportamento e risposte dominanti. Se funzionali, porta all’effetto di facilitazione sociale, se disfunzionale a quello di inibizione.

Personalità

Il rapporto tra personalità dei musicisti e ansia da performance musicale è stato studiato da Patston e Osborne (2015).

Gli autori hanno indagato la relazione tra ansia per la prestazione musicale e perfezionismo in età scolare nella fascia compresa tra 10 e 17 anni, tra studenti di musica, rilevando che esiste una forte e stabile correlazione tra ansia da prestazione musicale e perfezionismo (soprattutto relativo agli errori esecutivi e alle aspettative genitoriali) destinata ad aumentare con l’età e l’esperienza, specialmente nel genere femminile, in cui si è registrato un incremento più rapido e intenso.

Il mix letale

È ben chiaro, dunque, quanto fattori esterni come la presenza di un pubblico, il misurarsi su un genere complesso e la ricerca del perfezionismo, spesso e volentieri abbinata alla voglia di soddisfare le proprie e le altrui ambizioni, se non gestite e canalizzate correttamente possono rappresentare un mix letale per una performance.

Ma allora cosa bisogna fare per non relegarci ad esibirci solo ed esclusivamente nella nostra cameretta, nella totale intimità?

Studi e deduzioni

A tal proposito vorrei sottoporvi uno studio molto interessante condotto da Bozzato e Segrada nel 2017, con il fine di esplorare, su un campione di adolescenti frequentanti scuole di musica classica, il legame emotivo con il proprio strumento musicale.

Ai partecipanti è stato chiesto di elaborare un componimento scritto con la seguente consegna: “Descrivi, nello spazio massimo di una pagina di foglio a protocollo, il rapporto che hai con lo strumento musicale che suoni abitualmente. Cosa rappresenta per te? Quali emozioni vivi quando lo suoni? (…)”.

Tra i vari dati raccolti, colpisce quello sull’ansia da performance; l’ansia e l’agitazione prima di concerti, saggi o esami di musica viene citata solo dal 4,1% degli adolescenti, la paura dall’1,5% e la tensione dall’1%.

Sebbene siano emozioni solitamente diffuse in tali occasioni, non sono in realtà così presenti quando gli allievi delle scuole di musica pensano, si rappresentano nella mente e descrivono le emozioni legate al suonare.

P. Bozzato, Il legame emotivo con lo strumento musicale. Una ricerca con adolescenti allievi di scuole di musica, De Musica, 2019, XXIII (1).

Da tale studio, quindi, emerge quanto sia fondamentale essere connessi emotivamente con il proprio strumento e con il proprio mondo emotivo, per generare una connessione profonda, denominata esperienza del “flow musicale” (flusso musicale) capace di minimizzare le preoccupazioni o gli stati ansiosi e di portare in superficie la vera ragione per la quale si suona uno strumento o si fa arte in generale: comunicare.

Spesso, durante una esibizione lasciamo che i nostri pensieri seguano flussi fuorvianti, come “cosa penseranno di me?”, “sarò abbastanza bravo/a?”, oppure ci lasciamo prendere dalla preoccupazione di una difficoltà in arrivo e la paura di non saperla gestire, perdendo dunque la capacità di ancorarci al qui ed ora e di lasciarci invadere dalle emozioni prodotte da quanto stiamo facendo in primis su di noi.

In conclusione

Se l’attività artistica viene finalizzata ad una mera performance, in cui ciò che conta è l’essere perfetti, infallibili ed inattaccabili, verrà meno quella connessione profonda con la propria sfera emotiva, poiché la mente sarà impegnata nella lotta e nel controllo delle variabili sopracitate, producendo così un risultato artistico sterile, ripiegato su sé stesso, poco empatico.

L’obiettivo, dunque, per provare a non far invalidare dall’ansia un’esibizione, non deve essere solo quello di fare performance brillanti e memorabili, ma di restare ancorati al momento presente e alla voglia di comunicare e donare un pezzo della propria essenza attraverso la propria arte, perché forse anche chi ci ascolta in quel momento, ha bisogno di autenticità e non di chi ricorda loro soltanto di essere dei comuni mortali.

3 commenti su “Vado in scena… a prendere una boccata d’ansia!”

  1. Ottima analisi. Leggendo questo articolo si riesce a comprendere quante difficoltà ci sono dietro ogni performance. Per chi, come me, è solo auditrice e quindi, non specialista, tale analisi aiuta a comprendere tanti meccanismi taciuti e nascosti. L’emotività che traspare in ogni singolo gesto che, inevitabilmente, si traduce in nota aiuta a capire qualcosa in più dell’artista. L’esecuzione del musicista che riesce a svelare una parte imperscrutabile della sua essenza, consente a noi spettatori di vivere un connubio tra musica e anima paradisiaco.

  2. Complimenti.
    Articolo chiaro e ben scritto. L’ansia è l’essenza della condivisione, concordo. Chi si misura col giuduzio altrui dovrà dimostrare :1. le proprie capacità, talento, competenze, “performance” e 2. essere capace di gestire la propria tensione emotiva.

  3. Molto interessante questo articolo.
    Fa capire a noi profani che l’ansia da prestazione coinvolge tutte le professionalità, anche quelle artistiche. Credo che sia una compagna invisibile di tutti coloro che sono soggetti a valutazione, anche di quelli che, magari, sembrano piú spigliati. Anche noi docenti non ne siamo immuni, nonostante non si percepisca.

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